È stato così
Il libro è stato letto da tutti e apprezzato nella sostanza, nonostante
la cappa di profonda tristezza in cui avvolge il lettore.
La sensazione di assoluta solitudine che lascia la lettura
di questo breve ma coinvolgente romanzo può indurre alla
depressione, soprattutto se le fanno eco altre storie di persone
che per solitudine sono disposte ad accettare legami aridi,
che invece di unire rinforzano il senso di estraneità dell’uno
verso l’altro.
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Il sapore del testo: Bonet della nonna
Perché questa ricetta?
Quando ci sentiamo giù di morale e siamo molto tristi, il nostro cervello
reagisce, chiedendo al corpo la serotonina. Il modo più semplice e
veloce per ottenerla è mangiando dolci. Ecco quindi perché abbiamo
scelto di associare il bonèt piemontese al profondo senso di tristezza
“assorbito” da questo libro scritto da Natalia Ginzburg in un momento
dolorosissimo della sua vita, subito dopo l’assassinio da parte dei
nazisti del marito Leone Ginzburg, grande letterato, antifascista, ebreo,
animatore della nascente casa editrice Einaudi.
Aneddoto
Le origini di questo dolce risalgono ai banchetti del XIII secolo.
Dopo averne apprezzata la bontà, da golosa quale sono, ed essermi
procurata la ricetta, la mia curiosità mi ha spinto a informarmi
sull’origine del nome bonèt. Ho scoperto che deriva dalla forma dello
stampo in rame in cui veniva anticamente cotto; questo veniva
chiamato appunto bonèt ëd cusina, cioè cappello da cucina, insomma
berretto del cuoco. È così che questo squisito dolce è entrato nel mio
cuore e nel mio ricettario personale.