Nel bel testo del 1967 Hans Hollein spiegava che l’architettura
è tante cose: un media, un mezzo di comunicazione, culto,
marchio, simbolo, segno, espressione.
È ricovero, psiche… e per farla breve conclude che: Tutti sono
architetti. Tutto è architettura. Alles ist Architektur.
Così quando nel dicembre 1998 fui invitato dall’architetto
Benno Simma a tenere, assieme all’architetto Rainer Köberl,
il discorso d’inaugurazione dell’Accademia di Design di Bolzano,
onorando la lingua del luogo la sparai ancora più grossa:
Alles ist Design!
Dubbi ve ne sono pochi: dal bracciale che si mette al polso del
neonato sino all’urna funeraria (che il mio amico genio del
design Denis Santachiara stampa in 3D riprendendo la testa
del caro estinto) o al sarcofago ligneo che ci accompagna nel
grande viaggio, viviamo immersi nel design.
Al design ci sono arrivato tardi. Io vengo dalla letteratura:
“I libri della biblioteca sono senza lettere. Se li apro appaiono”
(J. L. Borges).
Per me Tutto è Letteratura.
Non c’è niente che non sia finito in quel meraviglioso oggetto
di design, con millefogli senza immagini, che chiamano libro!
La letteratura è il racconto delle vite e infatti oggi anche nel
mondo dell’architettura, dell’hotellerie, del cibo, del design,
tutti vogliono farti vivere un’esperienza = Experience design.
Rari sono i prodotti o i progetti che oggi non si appoggino
a una narrazione = Story Telling.
Quel che disturba in tutto ciò è che poi alla fine di sincero non
c’è molto, perché lo scopo è la vendita, la fruizione, il consumo.
Qui siamo di un’altra pasta. Qui siamo oltre le millepagine,
alla fine si arriva alle millefoglie.
Qui non si compra e non si vende, si sta insieme. E poi ci si
mette a tavola e insieme si mangia.
Si mangia perché mangiare è un gesto umano, conviviale, che
unisce più di mille parole. Mangiare toglie la rabbia e la fame,
la fatica e il dolore. Si mangia la sera quando il giorno muore,
vicino ad altre persone amiche o appena conosciute, riuniti
dalla comune e mortale condizione umana. Si mangia senza
la commedia dell’oste servile perché non ci sono venditori
e consumatori, ma solo persone che confluiscono attorno
alla tavola quadrata, portando ognuno il suo cibo, che è il suo
progetto, il suo design del giorno, da condividere, gustare,
introiettare. Ci si nutre insieme e ci si nutre a vicenda. Come si
gusteranno e introietteranno le pagine a seguire, che magari
ti lasciano in bocca un sapore amaro, un retrogusto piccante,
una nota che non sai bene se sia speziata o triste, miele o melancolia.
E a volte di fronte a pagine sublimi si tace, consapevoli
che, come scrive sempre J. L. Borges: “…se pronunciamo
o pensiamo una parola, accadono parallelamente infiniti fatti
in infiniti mondi inconcepibili”.
E poi nel mistero in cui siamo avvolti si vive tutto come un gioco,
che è una cosa serissima, almeno quanto la vita.
E tutto si tiene in questo progetto nato, come ognuno di noi, da
un incontro. In Millefogli si pratica ciò che da anni provo anche
io a praticare: il Design dell’Amicizia.
Virginio Briatore - filosofo del design
Mele e vino
A ben vedere, la maggioranza dei romanzi, del passato come
di oggi, raramente parlano di cibo. Qualche attenzione in più
l’hanno i liquidi alcolici, anche perché molti scrittori ne hanno
fatto un uso smodato. Ma in genere i protagonisti della
letteratura sono di temperamento sobrio, mangiano sentimenti,
avventure, delitti, ma è raro che si descriva il modo
in cui si alimentano. Risulta tanto più interessante che sia
ricco di dettagli alimentari proprio il libro dei libri, la Bibbia,
tanto da risultare nel suo complesso un testo con forti riferimenti
alla cultura materiale.
Riduciamo, per semplicità, l’osservazione al libro della Genesi.
Tutto comincia con il giardino, dove i nostri progenitori
possono mangiare i frutti di tutti gli alberi, salvo quello del
bene e del male. Di cosa si tratti il testo non dice, ma la vulgata
è che il serpente offra a Eva una mela. E da quei morsi
di mela comincia tutto.
Andando avanti con le generazioni che si susseguono,
è a Noè che capita di bere smodatamente e di addormentarsi,
poco coperto. Il figlio Cam lo vede nudo, lo racconta
ai fratelli, che però non guardano e coprono il padre camminando
a ritroso. Ma il povero Cam, del tutto irresponsabile
di una visione che non ha cercato, sarà maledetto per sempre.
Chissà, forse Noè, nel sonno, aveva fatto sogni erotici.
Anche Lot commette l’errore di ubriacarsi, e le due figlie gli
si infilano nel letto mentre dorme e si fanno ingravidare. Anche
se non c’è esplicita condanna, è dal vino che deriva il primo
caso di incesto biblico, e da qui un evidente, implicito, tabù.
Giacobbe doveva essere particolarmente bravo nel cucinare
la minestra di lenticchie perché notoriamente Esaù, quando
torna dal lavoro nei campi, per averne una scodella gli vende
la primogenitura. Ma la perderà una seconda volta quando
il padre, Isacco, vecchio e cieco, vorrà benedirlo e gli chiederà
di portargli della selvaggina ben cotta. Qui Giacobbe
organizza un imbroglio aiutato dalla madre, Rebecca, che
cucina dei domestici capretti e, poiché è glabro, lo copre
di pelli per far credere al padre che si tratta del peloso Esaù.
Isacco ci casca, gli dà la benedizione, e quando Esaù torna
da una faticosa caccia, trova che la benedizione è stata data
e non può più essere ritirata.
Giusto per concludere, e per dare inizio del libro dell’Esodo,
Giuseppe offre un gran pranzo di benvenuto ai fratelli ritrovati,
che pure volevano ucciderlo e lo hanno venduto ai cammellieri.
E così, con un gran banchetto, si chiude il Genesi.
Un grande romanzo enogastronomico, che segna degnamente
la storia del mondo giudaico-cristiano. Di qui alla
moltiplicazione dei pani e dei pesci, al “vinum non habent”,
alla cena in Emmaus, il passo è breve.
Ma si tratta della storia dell’uomo. Ed è giusto che la storia
sia fatta, e raccontata, anche con cibo e bevande, senza
le quali la vita non sarebbe possibile.
Parole a fuoco lento per magie da gustare
Ci sono luoghi che hanno qualcosa di magico per tutti, che
sciolgono tensioni e fanno scaturire nutrimento. Questi luoghi
sono le cucine, che attorno ai tavoli generano ricchezze e che
riescono a far sentire ognuno, dopo il primo boccone, come
se fosse a casa, ovunque si trovi.
Questa magia non è scontata né automatica; come tutte le magie
ha bisogno di pozioni, di dosi, di cottura e di racconti che
la facciano compiere.
Di sicuro sarà capitato anche a voi, magari senza che abbiate
dato troppa importanza all’accaduto, che in qualche cena una
pietanza con un certo profumo, con quel sapore e con la compagnia
di quel momento abbia provocato una sensazione tale
da sorprendervi: una luce nel buio, una macchina del tempo
nei trascorsi della vita, un diario temporale rievocato all’improvviso
grazie al cibo e alle circostanze.
Il cibo, il banchetto, il convivio. Ma Convivio è, per tutti noi,
soprattutto il nome dell’opera di Dante, un banchetto di sapienza
che il Sommo ebbe l’ardire di offrire a coloro che,
“dotati di animo gentile”, non avevano potuto dedicarsi agli
studi. E sarà la simpatia per il nome o per la sua umana incompiutezza;
sarà la passione per le pietanze e la loro nascita
e preparazione; resta il fatto che la convivialità ha caratterizzato
fin dal principio le nostre serate.
La preoccupazione inizialmente fu di risolvere anche il momento
della cena: avevamo voglia che la serata iniziasse
il prima possibile, anticipando il sopraggiungere dell’inevitabile
stanchezza del giorno appena trascorso. Il desiderio
di incontrarsi, per scambiarci finalmente pareri sui vissuti
e sulla letteratura che avevamo scelto di discutere, era forte.
Da qui la scelta di iniziare sempre i nostri appuntamenti
con una cena condivisa. Così, per stupire e allacciarsi alla
serata, le pietanze hanno cominciato a ispirarsi proprio alle
storie lette. I piatti che venivano – e che vengono ancora –
di volta in volta preparati prendono spunto dal luogo di nascita
dell’autore, oppure dall’ambientazione della storia;
altre volte da una pietanza descritta nel libro o dalla sensazione
che la lettura di quest’ultimo ha provocato: un polpettone
per un libro pesante, una meringa per un libro sdolcinato
e piuttosto inconsistente a un morso più deciso.
La fantasia ai fornelli, quindi, per legare con un classico fil
rouge letteratura e cucina, ha fatto sì che le nostre serate
avessero non il salotto ma la tavola come centro dei tornado
di parole lette e discusse in convivialità. Ricette inventate, personalizzate,
replicate da piatti di tradizione familiare, talvolta
prese all’interno dei libri stessi; non poniamo nessuna limitazione
nelle scelte. E ogni volta la curiosità di ascoltare le motivazioni
dietro ogni portata dà vita a un convivio dell’amicizia.
Quello che si è creato è un gruppo di amici che si riuniscono
per la cena e il commento di letture, ma che nel tempo hanno
capito che alla base si è formata un’associazione di fatto, per
la condivisione di intenti comuni. Così, dalle cucine ai tavoli
coi libri alla mano, è nato Millefogli_Lab, di cui questo volume
è il primo testimone tangibile di una serie di iniziative in pectore.
Le ricette che potrete leggere sono il frutto della scrematura
di cene e serate, dove per ogni lettura, a fronte di tutto il cibo
condiviso, è stata scelta una sola preparazione per rappresentare
quella serata, quell’abbinamento, quel convivio.
Buona lettura, quindi, e buona acquolina in bocca. Se alla fine
vi sarà venuta voglia non solo di leggere o rileggere un libro,
ma anche di cucinare la pietanza a esso abbinata, sapremo
che la magia del convivio si sarà compiuta ancora una volta.
Perchè anche il vino in Millefogli?
Perché proporvi uno spazio anche per il vino all’interno
di una iniziativa già così ricca di contenuti? Perché l’iniziativa
ci emoziona e perché condividiamo il connubio che lega
arte, letteratura, amicizia, convivialità, edonismo gastronomico,
storia e cultura.
Il Vino è, da sempre, parte integrante di questa straordinaria
realtà. Inutile citare quanto appassionanti e numerosi siano
i legami che hanno stabilito scrittori famosi con il mondo enoico.
Basti pensare che la madeleine di Proust in Alla ricerca del
tempo perduto è ancora per noi formatori del vino il più semplice
mezzo con cui esplicitare la tecnica di memorizzazione
dei percettori olfattivi e che, con alcuni suoi capoversi, definiamo
le diverse attenzioni dei due emisferi cerebrali dell’uomo
dominati da emozioni e razionalità quando sorseggiamo
un grande vino.
Il Vino vive con l’arte e la letteratura un equilibrio sinergico che
porta al piacere assoluto dell’uomo. Questo piacere, naturalmente,
viene dalla mente; tuttavia, quando si sorseggia un calice
di nettare uvico, esso viene lubrificato dalla grande fonte
di sensazioni che i nostri percettori traducono in emozioni.
Noi, che siamo tesi al piacere, non potevamo perdere questa
ghiotta occasione.